INTERVISTA A CLARA TURCHI

(a cura di Boskizzi)

Boskizzi: Ciao Clara, noi vecchietti amiamo la quotidianeità e le abitudini consolidate, per cui comincio con una domanda classica: dicci chi sei, da dove vieni, cosa fai...

Clara: Ciao Max, la risposta facile a questa domanda è un'istantanea: mi chiamo Clara Turchi, vengo da Mantova, vivo a Londra da quattro anni e sono fotografa.
Un po' più complicato è spiegare (soprattutto a me stessa) come sono arrivata al presente in cui vivo; allora dovrei raccontarti del 110 in finanza alla Bocconi, del mio passato da ballerina, dei luoghi che ho visto, ed in alcuni vissuto, in giro per il mondo e dei miliardi che hanno speso i miei genitori nello sviluppo di rullini prima che decidessi di prendere in mano il primo libro di fotografia (non che a quel punto abbia smesso di scattare - mi chiamavano la giapponese - ma almeno ho capito come scattarle per non ritrovarmi, alla fine, solo con una montagna di carta colorata neanche tanto bella da guardare!).

Mi rendo conto, però, che non siamo ad una seduta psicoanalitica, quindi la finisco qui con il panegirico personale e ti dico solo una cosa in più: dopo chi sono, da dove vengo e cosa faccio, ti dico dove andrò: all'università. Fotografia, ovviamente! So che in Italia siamo appena agli albori dell'educazione fotografica, per questo ho voluto dirtelo, per fare un po' di pubblicità all'insegnamento di quest'arte.

D: Dove studierai fotografia? In Italia o a Londra? Ci puoi dire qualcosa di più su questo corso di Laurea?

R: Vorrei studiare a Londra. Ho fatto domanda d'ammissione a più di un' università. Il processo di selezione è lungo e molto competitivo quindi non so ancora dirti nulla di preciso.
Quello che invece so è che tutti i corsi di laurea in fotografia (non solo quelli che ho scelto), almeno in Gran Bretagna, non si limitano ad insegnare tecnica fotografica ma, anzi, focalizzano molto l'attenzione sulla critica, o meglio, sullo sviluppo di capacità critche. Credo che questo sia il vero vantaggio di frequentare tali corsi.

L'istantaneità della fotografia e la sua relativa facilità contribuiscono, a tutt'oggi, a relegarla ad un piano inferiore rispetto a quello in cui vengono (mentalmente) poste altre arti (classici esempi sono pittura e scultura ma anche la musica, il teatro...). Noi sappiamo, invece, che dietro, durante e dopo una fotografia c'è molto di più della semplice registrazione della realtà. Ed è proprio questo che voglio studiare ed approfondire per diventarne pienamente consapevole e fare delle mie fotografie 'qualcosa di più' (sempre che ci riesca!).

D: Mi sembra di aver capito che hai già fatto qualche colloquio di preammissione. Siamo curiosi di sapere come si svolgomo, cosa ti chiedono, ... ??

R: I colloqui li farò a breve per cui non posso darti una risposta precisa...

L'iter è piuttosto lungo: inizialmente devi compilare un documento standard in cui è necessario fornire almeno una lettera di referenze e spiegare perchè credi che quella scuola sia giusta per te (il cosiddetto 'personal statement', la nostra 'lettera di presentazionè). Se le università ritengono convincente quello che hai scritto, si passa alla fase 2. Per alcune scuole la seconda fase è anche l'ultima: di solito è un colloquio in cui viene richiesto di mostrare il portfolio e di produrre alcuni scritti su diversi argomenti riguardanti la fotografia (come analizzare criticamente l'opera di un fotografo riconosciuto oppure commentare una teoria fotografica). Questi colloqui si svolgono in una giornata e prevedono sia incontri di gruppo (di solito quelli in cui mostri il portfolio) sia privati con professori del corso d'interesse.
Per altre università la fase 2 richiede l'invio di un numero limitato di tue fotografie (con relativa spiegazione) ed il commento critico di una fotografia in circolazione a tua scelta. Se il tuo lavoro passa questa ulteriore selezione, hai accesso alla fase 3 che è un incontro in cui mostri l'intero portfolio.

D: Molto interessanti le tue parole. Speriamo possano aiutare qualcuno dei lettori di Design Radar ad emularti. A parte questo preambolo, diciamo "istituzionale", mi piacerebbe riportare il discorso sulla tua "fotografia". Come trai ispirazione?

R: Bella domanda! Per molto tempo ho ingenuamente pensato che la migliore ispirazione la potessi trarre da me stessa e dalla mia, personalissima, relazione col mondo esterno. Pensavo che se avessi avuto una solida preparazione tecnica ma fossi rimasta abbastanza lontana dalle influenze di altri artisti, avrei sicuramente creato qualcosa di "libero" ed originale. Poi ho capito che questo modo di pensare derivava dai miei trascorsi in finanza. Ti spiego: in finanza la cosiddetta "asimmetria informativa", e cioè la detenzione di informazione da parte di un soggetto/istituzione ma non dell'intero mercato, crea profitto. Anche per questo il mondo della finanza e le sue regole spesso non vengono capite: perchè non vengono spiegate, non perchè, come si pensa, siano complesse e difficili! Semplicemente, condividere informazioni non è profittevole.

Nel mondo dell'arte, invece, è esattamente il contrario! Visto che il prodotto finale non può prescindere dall'essere soggettivo, non c'è pericolo di creare due cose uguali quindi la condivisione di informazione diventa motore d'ispirazione, elemento di crescita, di arricchimento (di profitto..).
Morale: traggo ispirazione dal parlare con altri fotografi ed artisti in generale, dal condividere le mie idee, i progetti visivi, dal visitare mostre e spettacoli di qualsiasi tipo (anche le cose brutte aiutano: puoi sempre pensare a come migliorarle). A Londra c'è la biblioteca del Victoria and Albert Museum che è dedicata solamente all'arte ed è all'interno di questo museo che è enorme e completamente gratuito dove spessissimo i bambini corrono e giocano. E tutte le opere, dalla scultura del Canova ai gioielli più preziosi al mondo, sono libere, alla portata di tutti, non segregate ma mostrate e fruite, sempre, tutti i giorni, gratuitamente. Sembra di essere in una casa piena di opere d'arte, non in un museo asettico. Come fai a non trarre ispirazione!!

D: Interessante questa connessione con l'economia, non ci avevo mai pensato. Rimanendo nel settore, non credi che ultimamente nella fotografia ci sia un eccesso di offerta? Come dico spesso, siamo tutti fotografi?

R: Questa è una domanda che mi spiazza. In realtà non ho una risposta precisa da darti ma ci ho pensato a lungo (perchè non ti nego che questo, come dici tu, eccesso di offerta mi spaventa un po') ed ho fatto alcune osservazioni.

Innanzitutto mi è venuto in mente che al giorno d'oggi tantissima gente usa il computer ad un livello avanzato, tutti i giorni e per un cospicuo numero di attività; però questo non vuol dire che siamo tutti tecnici informatici e che possiamo creare software, per esempio. E forse non è solo questione di capacità e di conoscenze ma è l'approccio che è diverso: a me il computer serve per fare qualche altra cosa. E allora è vero che tante persone hanno una macchina fotografica e scattano belle foto ma non tutti possono essere considerati fotografi al pari di Cindy Sherman o Paolo Pellegrini. Non credo infatti che tutti ci dedichiamo a fare ricerche prima di scattare una foto, oppure che con le nostre fotografie vogliamo dire qualcosa, comunicare un concetto, un'idea, una scoperta. L'approccio è diverso: tutti scrivono ma non tutti sono scrittori...(ma questo non vuol dire che chi non lo sia, scriva male).
Forse dipende dalle aspirazioni di ciascuno di noi. Se vuoi diventare Gursky, i fotografi a cui fai riferimento sono un gruppetto sparuto (non cosi' pochi ma decisamente non molti!!) quindi il problema dell'eccesso di offerta non sussiste...poi, non è detto che ci diventi, come Gursky! Idem per qualsiasi altro tipo di fotografia.

Mah... che il mio sia solo un tentativo di giustificare il prosciutto che mi metto sugli occhi per non vedere quanti fotografi in realtà ci siano? e come questo possa essere un problema nel cercare di affermarsi? Probabile.

D: Clara, mi hai convinto. Però adesso mi devi parlare della tua "fotografia". Perchè dopo tante parole è giusto arrivare al sodo. Sii critica di te stessa. Che dici per convincere i lettori di questa intervista a fare un "salto" sul tuo sito per curiosare tra i tuoi scatti?

R: Mi hai colto in fallo! Il mio sito non riflette gli ultimi lavori che sono anche quelli più importanti.
Come sai in questo momento sto lavorando ad un progetto, Mantova la Sognatrice, il cui libro uscirà dopo l'estate e che vuole essere un (semplicissimo e senza pretese) studio del principio Barthesiano per cui il soggetto, quando fotografato, diventa oggetto. Ho appena terminato le stampe (colore e B&W) in camera oscura per il portfolio finale ed ora mi sto dedicando alla parte scritta (non proprio didascalie, piuttosto racconti). La versione che si trova sul sito è la prima 'stesurà della sezione fotografica, molto diversa da quella finale, ad esempio alcune delle foto principali mancano. Lo so, lo so, il sito è il primo biglietto da visita di chiunque si consideri fotografo, ed infatti, ora che il progetto si avvia a conclusione ed ho più tempo, lo aggiornerò come si deve.

In generale, la 'mia fotografià si è evoluta da uno stile documentaristico ad uno un po' più concettuale. Sempre facendo riferimento al sito, le foto di Napoli o di Londra, ad esempio, vengono prima della galleria In An Old Memory Box che parla del rapporto che abbiamo col nostro passato e dei nostri feticci (e della fotografia come feticcio!).
Mi piace moltissimo lavorare in analogico e prediligo di gran lunga la camera oscura a Photoshop ma è come preferire il salato al dolce: non puoi mangiare un piatto di polenta e gras pistà a colazione! Voglio dire che la scelta dei vari mezzi fotografici (digitale/analogico, piccolo/medio/grande formato, camera oscura/camera chiara ecc) dipende dal soggetto e dall'obiettivo che ha il fotografo non solo dalle sue preferenze...o almeno cosi' è per me.

D: La parte finale delle tue parole è stata spesso argomentata durante le interviste antecedenti a questa, e direi che per una volta potremmo anche andare oltre. Con te preferisco parlare non dello scontro tra digitale e analogico, ma di buone fotografie e pessime fotografie. Come ti rapporti con la selezione, ad esempio nel caso specifico del libro che hai in produzione, degli scatti?

R: Tempo fa ho letto un libro scritto da John Kaplan (vincitore del Premio Pulitzer) su come organizzare un portfolio. Il titolo è Photo Portfolio Success e, se non ti dispiace, riporto qui le sue 'guidè (le traduco dall'inglese quindi scusami se riceverai qualche lamentela da parte di chi, magari, il libro l'ha letto in italiano):

  • Inizia forte
  • Termina forte
  • Aggiungi le foto migliori (in inglese usa l'espressione 'must-havè, le fotografie che non puoi assolutamente scartare)
  • Aggiungi le foto che il cliente ha richiesto
  • Elimina le immagini ridondanti
  • Rimuovi tutto ciò che è marginale
  • Aggiungi varietà nella sezione centrale
  • Dimostra versatilità
  • Richiedi feedback

Ora, se lui ha vinto il Premio Pulitzer un motivo ci sarà!

Di solito cerco di seguire questi 'consigli' ma dipende anche dal messaggio che voglio comunicare: ad esempio, perMantova la Sognatrice, non ho inserito nel portfolio finale alcune fotografie che credo siano belle ma che, però, potrebbero distrarre; in altri portfolii ho inserito due volte le stesse immagini (o meglio, le fotografie sono diverse ma i soggetti sono gli stessi) perchè voglio dire qualcosa di specifico.
Credo che la scelta delle fotografie da includere o meno in una presentazione/libro/esibizione dipenda anche dal pubblico a cui il tuo lavoro è rivolto (infatti Kaplan scrive di aggiungere le immagini che il cliente, il pubblico, ha richiesto). Dipende dalla capacità che ha lo spettatore di leggerè una fotografia. Parliamoci chiaro: alcune delle fotografie più acclamate dalla critica specializzata spesso non attraggono l'interesse di un pubblico più vasto.

Detto ciò, non credo di possedere ancora tutti gli strumenti per giudicare se una foto è buona o pessima ma ci sto lavorando!

D: Wow, mi sa che mi procurerò il libro che hai citato. Non lo conoscevo, pur essendo io un divoratore di carta. Per chiudere voglio farti una domanda cattivella :-)
Possiamo considerarti per certi versi un "cervello in fuga" e quindi avrai notato differenze tra l'essere fotografo dalle nostre parti e l'essero lontano dalla Penisola. Quali differenze tra i due emisferi?

R: Grazie per definirmi un cervello in fuga (è ovviamente la parte del cervello quella per cui ti ringrazio)!

Se devo essere sincera, si, ho notato le differenze tra l'essere fotografo in una città come Londra ed esserlo in Italia. La questione non è che nel nostro bel Paese si verificano situazioni che sono estranee al resto del mondo: è che queste situazioni/atteggiamenti sono portati un po' all'estremo!

Mi spiego: il clientelismo a Londra si chiama networking, cioè crearsi una rete di conoscenze. Funziona alla stessa maniera che in Italia: più la persona che ti raccomanda è in alto e più probabilità hai di ottenere il lavoro o il posto all'università o il servizio fotografico. Solo che non è strettamente necessario che vi siano rapporti di parentela/sesso/ricatto tra raccomandato e raccomandante!
Di solito, da queste parti, chi raccomanda è perchè crede che l'altra persona sia valida e capace e, meraviglia delle meraviglie, chiedere una raccomandazione NON è considerato un atto di sottomissione, NON prevede necessariamente un pagamento e NON è complicato (cioè, come invece spesso accade in Italia, non ti serve la raccomandazione per ottenerne un'altra!). è semplicemente un aiuto che qualcuno ti vuole dare perchè, magari, apprezza il solo fatto di averglielo chiesto (questo, infatti, dovrebbe dimostrare quanto ci tieni alla tua professione, al tuo lavoro, non che sei un inetto che senza spinte non va avanti), o perchè crede in te o in quello che fai (e anche perchè, diciamola tutta, sa che alla fine non costa molto alzare il telefono o scrivere un'email per dare una referenza, come, invece, certe volte ti fanno credere!).

Stesso discorso vale per la politica: se vuoi fare un'esposizione a Londra ed hai visto uno spazio che ti interessa (dalla galleria al ristorante, dalla hall di un hotel al mercato all'aperto), basta, letteralmente, che chiedi...ed a chiunque! La receptionista dell'hotel ti darà l'email della persona che si occupa degli eventi, la gallerista ti dirà di portarle il portfolio per vedere se ci sono opportunità; purtroppo in Italia mi è stato più volte detto che questo approccio, diciamo 'poco politico' (leggi 'che non coinvolge nessuna persona che dopo averti fatto penare per una sua parola, si loda dei tuoi successi come se le fotografie le avesse scattate lui'), non va bene, che è meglio non provarci.

E non capisco, non capisco, non capisco! Non capisco perchè noi italiani ci lamentiamo ma alla fine facciamo poco per questa situazione! Non capisco perchè nessuno pensi che il numero fa la forza e che con un po' di convinzione e di volontà in più le cose possano cambiare! Magari verrò tacciata di utopismo o, peggio ancora, di incoerenza o di vigliaccheria, visto che vivo a Londra; però il libro verrà prodotto in Italia, l'esposizione che seguirà sarà tutta italiana ed in questo momento sto scrivendo a te, Max, per Design Radar.
Credo in quello che ho detto, credo che si possa fare, credo che la situazione economica mondiale possa essere d'aiuto. Credo che ci siano tante persone eccezionali nel mondo dell'arte che aspettano solo di essere coinvolte e, per quanto riguarda la sottoscritta e la sua permanenza all'estero, credo in quello che ha fatto Carlo Goldoni: prima entra nel sistema (per me è l'università e la possibilità di farmi conoscere come fotografa), poi rivoluzionalo da dentro.