KUFIA DÀ FORMA A CIÒ CHE NON C'È

Non c’era una volta…

Tutti i popoli che sono stati soggetti al dominio coloniale sono stati violentati nella loro storia e nella loro memoria, oltre che in tutti i diritti collettivi e individuali. Ormai è accettato in modo acritico che chi ha ragione nei fatti abbia ragione dinnanzi alla Ragione stessa. La storia universale è la storia dei vincitori, quella che essi raccontano a giustificazione della loro vittoria. Storia che anche i popoli vinti devono fare propria, per esistere, e dove esistere significa essere percepiti. Ma anche come si viene percepiti dipende dai mezzi, visto che il più forte ha il monopolio della verità.
“Esse est percipi”, sosteneva George Berkley, i popoli non percepiti dall’occhio occidentale non esistono; i crimini commessi contro di loro non sono nemmeno registrati. In quale libro di testo gli alunni possono informarsi sul terribile genocidio dei popoli indigeni d’America o sulla catastrofe della Palestina, sul genocidio degli armeni e la triste storia dei kurdi e degli zingari, sulla guerra del Golfo o quella contro il terrorismo? Il senso di innocenza dell’Occidente, la sua complice indifferenza e il suo silenzio, sono costruiti sulla rimozione. Malgrado gli anni e l’inenarrabile sofferenza della Palestina e del suo popolo, continuiamo a essere raccontati e descritti da chi sta praticando da più di cinquant’anni un’opera di distruzione sistematica contro di noi e la nostra storia, memoria, identità, immagine e futuro.
La nostra esistenza viene riconosciuta soltanto se diviene funzionale alla nostra negazione. Ormai il monopolio della forza di fare la guerra e la sua giustificazione sono nelle mani dell’altro (come il monopolio dell’informazione, che ci spiega ogni mattina cosa è vero e cosa è falso e dove stanno la ragione e il torto); ormai i mezzi d’informazione dell’occidente democratico si accompagnano e si alternano al cannone nella guerra di dominio.
Simile destino stanno avendo le grandi conquiste dell’uomo moderno nate dopo l’ultimo conflitto mondiale, come l’Onu e la Carta universale dei diritti dell’uomo. Punto eccelso della cultura del mondo europeo, stanno inesorabilmente entrando in contraddizione con i propri principi costitutivi, e le regole del diritto internazionale vengono manomesse per scopi di parte. Oggi siamo di fronte a un sistema unipolare, fondato sulla politica militare, sul controllo dell’informazione e della legalità internazionale, il cui obiettivo è il dominio sulle risorse e l’egemonia su scala planetaria.
La devastazione del diritto internazionale in Palestina, in tutte le sue implicazioni, e la palese prevalenza del diritto della forza, insieme alla prossima guerra statunitense nel Golfo, rischiano di trascinare l’umanità in una situazione cronica di conflitti incontrollabili e di sigillare il fallimento dell’incontro dell’Occidente con gli altri popoli. Per la Palestina è sempre più difficile colmare la distanza che intercorre tra la verità delle cose e la rappresentazione che di essa viene fornita mediante il sistematico inganno dell’informazione, che vizia la capacità di percezione dell’opinione pubblica.
Ormai la devastazione è arrivata ai momenti più intimi della nostra vita quotidiana. E ci viene un’immensa tristezza quando guardiamo indietro nel tempo, pensando a quello che eravamo e quello che avremmo potuto essere, se non avessimo incrociato loro sulla nostra strada. E ci attanaglia una profonda angoscia quando ci accorgiamo di quello che stanno progettando per il nostro futuro: ci sembra di essere giunti alla fine del nostro triste viaggio.
Da più di mezzo secolo, ormai, il nome della Palestina è stato cancellato dalla toponomastica politica del mondo. I palestinesi, per lunghissimi anni, sono riusciti a esistere come popolo attraverso il sogno e grazie alla fantasia letteraria e a una drammatica e disperata resistenza, traducendo in tale modo il rifiuto di accettare che fosse cancellato il loro nome. Un rifiuto che è divenuto centrale nel tormentoso rifugio nella straordinaria bellezza e normalità del passato. Passato che annebbia la vista e si rovescia nel sogno, pretendendo di disegnare il futuro.

Ecco un presente
Senza tempo.
Non si trova
Nessuno qui che ricordi
Come abbiamo oltrepassato
Il vento, la soglia e in che momento
Siamo caduti da un passato
Infranto sul pavimento
Che altri raccolgono dopo di noi,
specchio alla loro immagine.
Era mio padre quell’uomo tribolato?
Da far portare a me il peso della sua storia?
Forse adesso
Nascerò da me stesso e sceglierò
Lettere verticali per il mio nome.
Ecco un presente seduto nel vuoto dei vasellami
Scruta le tracce dei passanti
Possa il tempo affrettarsi con noi.
Tra i suoi bagagli il nostro
Domani.
Mahmud Darwish

Un futuro che necessariamente dovrà rendere reversibile la storia e quel processo che ha trasformato i palestinesi in esuli, oppure in un popolo costretto a vivere sotto infinita occupazione, ma che non è riuscito minimamente a intaccare la loro coscienza storica: al contrario, ha rafforzato la loro identità.
Abbiamo un paese che è di parole
E tu parla, perché io possa fondare la mia strada
pietra su pietra
Abbiamo un paese che è di parole,
e tu parla, così che si conosca dove termina il viaggio
Mahmud Darwish

Tu parla, dunque, e (ciò) fa sì che io possa fondare la mia strada pietra su pietra, su una cosa concreta. E infatti, in base alla consapevolezza della nostra identità, noi ci identifichiamo con il linguaggio. È il linguaggio – sonoro e anteriore alla parola pronunciata – che ci traduce a noi stessi. Parole che devono interpretare e indicare con onestà intellettuale una realtà concreta, come primo stadio di un intervento volto a modificare la situazione satura di sofferenze e ingiustizia, gravida di sconvolgimenti che non risparmieranno nessuno. Parole e forme, in grado di evocare dei significati, produrre associazioni mentali e promuovere idee contro questo ribaltamento dei valori che avvolge la nostra esistenza, e fornire una necessaria conoscenza storica, non quella manipolata, per risalire la china e dare inizio alla fine della miseria del mondo in cui viviamo e dove vivranno i nostri figli. Kufia intende fare questo, esprimere e fare conoscere la ricchezza e la cultura dell’occidente, offuscate dal delirio dell’amministrazione statunitense e dall’inadeguatezza dell’Europa politica, e dare voce a chi è stato fino ad oggi privato della propria voce, a chi è stato de-scritto come conviene agli altri. Intendiamo costruire un luogo dove il racconto non è monopolio degli addetti ai lavori, che hanno una visione del mondo e delle cose standardizzata e pronta. Un luogo che crea e trasmette, in ambo i sensi, sensazioni e conoscenza, crea fatti e forma esperienze che intaccano l’illusione e modificano la realtà.
Oltre lo schermo e dietro il sipario, vengono occultate inenarrabili distonie e spaventose devastazioni, in un mondo che visto da qui sembra normale, sembra normale anche la morte di cinque ragazzi uccisi ogni mattina. Esistono conflitti mal raffigurati ed esperienze non rappresentate, che Kufia vuole evocare e fare emergere con la vicinanza. Con il prendersi cura e con l’uso intenso dei cinque sensi vuole capovolgere certezze e incertezze tratte in inganno, vuole strappare il buio all’infinita notte e immettere significato nelle parole vuote, vuole essere un’eco al dolore e una mano clemente.
Kufia è andata a Saffuria, Lifta, Deir Yassin e in altri villaggi, per narrare la storia dei luoghi che non ci sono più. E a Sabra e Chatila, in Libano, per portare la testimonianza di ciò che è rimasto degli abitanti di queste città, che furono inseguiti e massacrati in esilio. A Jenin, per documentare e raccontare il massacro che non c’è stato. In Palestina, paese virtuale, il cui popolo assomiglia alle fiabe di quella terra, che iniziano sempre con la frase “C’era una volta. O forse non c’era”. Kufia è stata tra i cosiddetti “arabi d’Israele”, per raccontare la discriminazione e il razzismo dell’unica democrazia del Medio Oriente; è stata tra i pacifisti israeliani, per raccontare la difficile speranza che deve vivere.
A Jenin, assieme al regista israeliano Juliano Mehr e alla cantante palestinese di cittadinanza israeliana Amal Murqus, all’organizzazione mista Ta’ayush, alle Donne democratiche di Nazareth, al Fronte democratico per l’eguaglianza e la pace e al comitato popolare del campo profughi, Kufia realizzerà la volontà della signora Ruth Fortini: ricostruire il centro culturale di Jenin, che porterà il nome di Franco Lattes Fortini, figlio di un ebreo italiano. Un impegno difficile, rispondere con la cultura, cioè con la vita e la speranza, alla morte. Un impegno che merita il sostegno morale e materiale di tutti. Grazie Kufia.

Ali Rashid,
primo segretario delegazione

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un pò di storia


Nei giorni della prima intifada del 1988, il Comitato Bir-Zeit, l'alfabeto urbano e la Cuen di Napoli, con il sostegno de il manifesto, Smemoranda e numerose organizzazioni di solidarietà con la Palestina, pubblicarono il portfolio "Kufia, matite italiane per la Palestina".
I disegni originali, introdotti da un testo di Stefano Benni, furono esposti in oltre 70 città italiane, a Gerusalemme, in uno stracolmo teatro Hakawati assediato dall"esercito israeliano e poi a Tel Aviv e in molti villaggi palestinesi e israeliani. Le tv del mondo arabo aprirono i loro notiziari, il 3 gennaio 1989, con le immagini dall'unico teatro ancora agibile dei territori occupati, affollato per l'inaugurazione di Kufia da palestinesi, israeliani e cittadini di vari paesi. Il calendario delle mostre in Europa fu interrotto, un anno dopo, per il furto dei disegni: qualcuno fermò il furgone del corriere che trasportava gli originali e li rubò. Contemporaneamente, i promotori dell'iniziativa, con la sigla "Kufia - il manifesto", lavoravano, insieme a molte realtà artistiche, a diversi progetti. Con Paolo Fresu, Eugenio Colombo e altri musicisti italiani, e con il coro dei bambini palestinesi "Al Aqsa" di Tunisi, fu inciso il disco "Canto per la Palestina". Vauro scrisse e disegnò "Stato di Palestina, viaggio in una terra negata".
Furono pubblicati il portfolio "L'intifada nell'obiettivo di otto fotografi italiani", con un testo di Igor Man, e il libro "Palestina fiabe", illustrato da Daniele Brolli e curato da Wasim Dahmash.
Le varie iniziative si svilupparono nell'arco di tre anni, fino ai devastanti bombardamenti Usa sull'Iraq del 1991.

La partecipazione degli autori all'edizione del 1988 fu curata da Patrizio Esposito e Guido Piccoli, con le collaborazioni di Giacomo Forte, Canio Lo Guercio, Guglielmo Di Zenzo, Vittorio Ercolano.
La nuova edizione, a partire dal 2002, è stata curata dagli stessi promotori del primo portfolio in collaborazione con Stefano Ricci e con il contributo di Daniele Brolli, Giuseppe Palumbo, Gianluca Costantini e Inguine.net, Flavia Ponzi, Angela Bernal. I progetti recenti di Kufia sono coordinati da Paola Ghiglione, responsabile nazionale dell'associazione Kufia Onlus.

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il sito
_progetto grafico e web design: Gianluca Costantini
_blogger: Mimmo Manes e Abuthiab Motaz
_supporter: www.inguine.net, www.nowhere.it, www.canefantasma.com
_animazione flash: Marco Lobietti
_coordinamento: Patrizio Esposito
in collaborazione con Associazione Culturale Mirada

_progetto realizzato con:
il manifesto, Mano, l'alfabeto urbano, Arci, la Rinascita, Liberazione, Carta, Donne in Nero, Associazione per la pace

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1988
Guido Crepax, Cinzia Ghigliano, Daniele Brolli, Daniele Scandola, Davide Reeb, Elfo, Filippo Scozzari, Giacon, Giuseppe Palumbo, Arnon, Igort, Josè Munoz, Lorenzo Mattotti, Magnus, Nabil Hanani, Oreste Zevola, Andrea Pazieza, Marina Comandini, Sliman Mansour, Taleb Dweik, Taysser Barakat, Milo Manara.

2002
Lorenzo Mattotti, Mark Merkeke, Josè Munoz, Rula Halawani, Oreste Zevola, Erika Pittis, Vera Tamari, Guy Vandervoorde, Xavier Torcelli, Vauro, David Vecchiato, Oscar Zarate, Andrea Accardi, Giogios Botsos, Andrea Bruno, Giorgio Carpinteri, Onofrio Catacchio, Blaise Dehon, Elfo, Marco Ficarra, Giacon, Gabriella Giandelli, Nabil Hanani, Jean Lamore, Jean.Christophe Long, Sliman Mansour, Marina Comandini, Leila Marzocchi, Vincenzo Apicella, Tayseer Barakat, Stefano Centonze, Matteo Bergamelli, Alessio Spataro, Serge Ricco, Maurizio Ribichini, David Reeb, Miki Kratsman, Alessandro Pessoli, Bertrand Panier, Giuseppe Palumbo, Michelangelo Setola, Franco Matticchio, Andrea Pazienza, David B., Giacomo Nanni, Aleksandar Zograf, Vanna Vinci, Daniele Brolli, Gianluca Costantini, Marta Cano, Miguel Angel Marin, Raul, Renato Calligaro, Squaz, Davide Reviati, Enea Riboldi, Davide Catania, Gipi, Paco Desiato

2004 inguine.net/Kufia
Paper Resistance, Ale Staffa, Rocco Lombardi, Marco Corona, Mimmo Manes, Sara Colaone, Maicol & Mirko, Giacomo Nanni, Elena Rapa