Design Sensibile

Dunque... un pò di spiegazioni. Abbiamo chiesto a Marcello Petruzzi di poter pubblicare questo testo che ci ha presentato così: "Design sensibile è il titolo di una breve ricerca -non certo completa ed esaustiva- su alcune condizioni attuali della comunicazione in rete del "contenuto visivo" e della "produzione di senso" da me condotta come complemento ad un esame universitario.". Qualcuno ha già avuto occasione di leggerlo su Noema, ma se lo avete perso ecco riproposto anche da noi. Come anticipa l'autore, non si tratta certo di una ricerca completa, ma un buon punto per stimolare riflessioni e parlare di questo tema a noi così caro. Chiudiamo questa prefazione ringraziando Marcello per la sua disponibilità e gentilezza. Un consiglio.. il testo è bello corposo, da leggere con calma e senza fretta. Detto questo buona lettura!.

Design sensibile di Marcello Petruzzi
[Ricerca realizzata per il Corso di Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa
(prof. Pier Luigi Capucci), DAMS, Università di Bologna, A.A. 2001/2002]

Introduzione | Interfaccia grafica | La progettazione orientata all'utente
Idea di web design | Conclusioni | Riferimenti

Introduzione

La comunicazione attraverso contenuti visivi trova nel web design un forte nucleo specifico di cultura della sperimentazione, in quanto, oltre a portare notevole sensibilità all'impiego commerciale degli ambienti in Internet e delle più recenti tipologie di applicazioni multimediali ereditando i pensieri della cultura del progetto, implica la rigenerazione di un immaginario per l'individuo, e riconduce in laboratorio tutte le forme e tutti i valori figurativi, consentendo tra l'altro utili occasioni di "ritorno" critico alle modalità di funzionamento del cosiddetto "pensiero visivo", degli strumenti di immagine e delle teorie ad essi legate.
Concetti come quelli di realtà e di immagine si ridistribuiscono continuamente, generando un'estetica di collaborazione tra i processi e gli oggetti. "Le immagini si trasformano sempre più in oggetti e la comunicazione assume sempre più le caratteristiche di un'azione" (1). Da una parte, questo fenomeno surriscalda l'esigenza di nuove convenzioni, mentre dall'altra, apparentemente in antitesi, provoca una proliferazione di variazioni sulla produzione di senso, ovvero un arricchimento delle potenzialità espressive dell'uomo.
I fondamenti del problema non sono certo nuovi, dato che questa contrapposizione di modelli accompagna la più recente storia dell'informatica che inizia con la diffusione dei personal computer. Negli anni Novanta, fattasi questione teorico-metodologica di primaria importanza, la "disciplina delle interfacce" sembra già abbastanza ricca di esperienze tanto da richiedere un approccio alla classificazione delle varietà secondo criteri ben precisi. Sempre in questo periodo la HCI, Human-Computer Interaction, si espone dal campo dei sistemi informatici come possibile disciplina-guida della progettazione di ogni evento informatico-comunicativo.
C'è da sempre, insomma, l'idea di un'interfaccia che scompare dalla scena dell'azione per aumentare la possibilità di concentrazione sul compito che si deve eseguire, e quella basata sulla riscoperta dell'efficienza della scrittura figurata (pittogramma, ideogramma, logogramma, icone) che sulla lunga distanza determina un'agitazione di fermenti espressivi, incentrati sempre più sulla programmazione OOP (Object-Oriented Programming) dove ogni entità viene caratterizzata come un oggetto dotato di un proprio specifico comportamento, capace di reagire, rispondere e modificare la propria apparenza visiva.
Rimandando lo studio sulle effettive possibilità di sistematicità dei risultati della "risalita" di cui sopra, espongo di seguito il quadro delle logiche impegnate da qualche tempo "nel dibattito sulla usabilità dei siti che vede contrapporsi i fautori di un linguaggio di base, improntato ad una grafica essenziale visibile su qualsiasi computer, ai sostenitori di un web sempre più caratterizzato da animazioni e soluzioni visive sofisticate" (2), che richiedono un salto in avanti nella sensibilità della fruizione (3).

Interfaccia grafica · Torna all'indice

Un avvenimento tecnologico importante non tanto per le conseguenze immediate ma per le ripercussioni che avrebbe avuto a lungo termine fu la presentazione nel 1983 di Apple Lisa (4),il primo tentativo commerciale di computer con sistema operativo completamente visuale basato sulla metafora della scrivania e dello spostamento intuitivo degli oggetti, in altre parole il primo sistema di larga diffusione dotato di GUI (Grafical User Interface), l’interfaccia grafica a finestre e icone oggi universalmente standardizzata (5). Prima di allora, tutti i sistemi operativi erano costruiti sul paradigma di interazione testuale (6): l’utente digitava i comandi sulla tastiera e attendeva il risultato dell’elaborazione sullo schermo. Con la GUI il rapporto utente-macchina veniva di fatto estremamente facilitato, grazie all’uso del mouse e della grafica intuitiva che contribuisce da allora a far reagire gli elementi dello schermo secondo il movimento delle nostre mani, e che "simula" l’informatica procedurale in base al nostro pensiero, al nostro sistema nervoso e ai nostri metodi mnemonici e organizzativi (7).
Il concetto di usabilità (più avanti, anche usability) era in via di definizione nell'ambito del design industriale già dagli anni sessanta come "approfondimento" sulla valutazione ergonomica delle relazioni tra uomo e oggetto, ma cominciò a svilupparsi nell'informatica - e sotto la guida di una ricerca psicologica sulle operazioni cognitive - solo dopo il decennio dei Settanta in cui il computer era ancora uno strumento per pochi utilizzatori competenti, capaci cioè sia di "fabbricare" software che di adoperarli. Con gli anni ottanta andava infatti in crisi l'idea di accentramento della potenza del computer, il "terminale", e si affermava un modello distribuito in cui le possibilità di applicazione venivano dislocate in unità autonome: in questo cambiamento, idealizzato dall'apparizione di Apple Lisa e dimostrato concretamente con la diffusione esponenziale dei computer domestici e da ufficio, il computer diventava il nuovo strumento della produttività diretta individualmente e l'usabilità si certificava come un complesso di studi e tecniche di collaudo in supporto alla progettazione e all'ottimizzazione dell'interfaccia del software, luogo del contatto tra computer e utente (8).

In breve, la prospettiva dell'ergonomia cognitiva non ignora la possibilità che l'uomo, con l'esperienza e l'apprendimento, possa interpretare e colmare il divario tra le azioni consentite dall'interfaccia e sé, ma preferisce affermare un metodo di progettazione che stabilisca in anticipo caratteristiche tali da rendere l'interfaccia compatibile con i bisogni psicologici e le capacità cognitive basilari dell'utente:

In ogni caso la progettazione ergonomica dell'interfaccia si preoccupa in modo prioritario di rendere cognitivamente compatibile ciascuna delle fasi attraverso le quali viene colmato il divario tra individuo e sistema, sia nella fase di esecuzione che nella fase di valutazione (9).

Oggi però la questione si è separata dalla zona comunque "fisicamente limitata" del desktop di ogni singolo utente per entrare nello spazio attivo del web, spazio percorribile a tutti gli effetti anche se privo di superfici palpabili, e testo antilineare, sicuramente il più diffuso e discusso attualmente. Un software viene comunemente usato dopo essere stato acquistato; all'opposto, le responsabilità del primo contatto con un ambiente web pendono in buona parte sulla sua immediata chiarezza d'uso, appunto sulla sua usabilità. Perciò l'usabilità interviene in fase progettuale per fornire le risposte a ciò che l'utente chiede al web, e cioè libertà di movimento, percorsi chiari, personalizzazione, rapidità. Orientandosi alle azioni che fanno della fruizione una navigazione, essa vuole insomma progettare sistemi di percorsi e di interazioni.

La progettazione orientata all'utente · Torna all'indice

La moltitudine dei dati provenienti dalle entità istituzionali che circolano nel web possono essere riassunti, come fa Dominique Wolton (10), in quattro grandi categorie, alle quali si aggiunge la dimensione altrettanto estesa e ibrida delle creazioni individuali, delle attività sperimentali o artistiche, delle riviste amatoriali ecc. Le quattro categorie sono:

  •  servizi. Informazioni di ogni genere, transazioni, acquisti e prenotazioni, cataloghi, motori di ricerca;
  •  tempo libero. Giochi di interazione, video interattivi, ecc.;
  •  informazione-avvenimento. Può essere generica, professionale (agenzie o giornalismo), specialistica;
  •  informazione-conoscenza. Disponibilità del sapere tramite banche dati a libero accesso o tramite codice di pagamento.

Se si cerca di tradurre in italiano con un translator automatico (come quello di Altavista) il termine inglese "usability", si otterrà come risultato: impiego possibile.
Che differenza c'è fra uso e usabilità? L'uso è attuale, è l'azione effettiva che io esercito con uno strumento. L'usabilità è potenziale, è quello che potrei fare con uno strumento. La pratica dell'usability si fonda sull'osservazione diretta dei comportamenti dell'utente quando esplora un sito Internet. Jennifer Fleming (11) spiega cosa significa progettare per gli utenti: capire il più possibile chi è l’utente medio, o meglio, l'utente possibile, e avere una chiara idea dell'audience e dei gruppi distinti in cui una singola audience può essere suddivisa, soprattutto per siti specializzati su un certo argomento o un certo tipo di commercio.
Il sistema di navigazione è il centro di questa ricerca: esso deve essere tanto pervasivo e coerente da sembrare parte naturale del sito, integrato col resto e creato su vocaboli convenzionali, soprattutto per quanto riguarda i vocaboli non verbali. In altri termini, esso è il perno attorno a cui l'architettura del sito, il design e ogni altro elemento ruotano in favore della progettazione orientata all’utente, un concetto che richiede la fondamentale pratica del collaudo per capire le abitudini e lo status socio-economico dell'individuo mai identico a se stesso che è l'utente del web.
Sin dalle prime ricerche di usability sono state individuate alcune difficoltà ripetitive ed errori comuni che hanno portato alla formulazione di linee guida su cosa è meglio fare e cosa è meglio non fare nella progettazione web. Questi principi di orientamento sono da una parte frutto di un approccio psicologico cognitivo di osservazione dei comportamenti, e dall'altra la risoluzione di problemi tecnici in area empirica, in base alle possibilità e alla conoscenza degli strumenti usati, ad esempio l'ottimizzazione delle immagini, il formato adeguato dei file, la semplificazione del codice.
Ora, davanti a questi principi ogni sensibile operatore del settore ha imparato a procedere con elasticità; ma pur con le dovute cautele legate ai rischi di semplificazione e generalizzazione, queste linee guida possono fornire un utile riferimento per chi si avvicina ai temi dell'usabilità e all'apprendimento di consuetudini tecniche.
Sono molti i teorici ad aver enumerato chiavi ipotetiche per la costruzione di buone interfacce, ma Jakob Nielsen è considerato il vocalist radicale, autore del libro Web usability in cui espone i celebri dieci principi. Nielsen però ha anche mostrato in più di un'occasione i propri limiti lanciando dichiarazioni sterili, come quell'annuncio di "fine del web design" che appare solo come indice di miopia davanti all'evidenza della trasmissione continua di stimoli nella rete a cui invece assistiamo, grazie ai quali si può ritenere errata ogni sentenza del genere, senza rischio di smentita. Sono in molti a credere che l'usabilità si trovi costretta a rivedere i propri presupposti: le sue iniziali prese di posizione decadono, perché la gente sta entrando in relazioni sempre più intime con i computer, e l'utile si sta fondendo con l'immaginario.
Nel mese di giugno 2002 è apparsa in rete la notizia dell' intesa tra lo stesso Nielsen e i progettisti di Macromedia, la software house che ha da poco lanciato la nuova versione dell'ormai celebre applicazione Flash, forse per non perdere la possibilità di partecipare alla stesura di nuove convenzioni e standard per gli oggetti della navigazione di tipo rich media, ovvero caratterizzata da elementi interattivi e animazioni vincolate ai plug-in. È davvero un caso importante, che al momento non so dire se farà bene a Flash o a Nielsen, ma che comunque dimostra inesorabilmente l'andamento delle cose, sia per quanto riguarda la scoperta dell'esigenza di "accoglienza" estetica e di pronunciazione espressiva negli ambienti in Internet, che per la standardizzazione, che provocherà ulteriori contestazioni.
Don Norman, socio di Jacob Nielsen alla Nielsen Norman Consulting Group, organizzazione che da anni si occupa di usabilità, dichiara oramai di avere un nuovo interesse per il design finalizzato all'uomo, affermando espressamente:

La comunità dell'usability non ha prestato sufficiente attenzione alla bellezza, al divertimento, o al godimento. Vorrei cambiare questo (12).

E ancora:

L'usability da sola non basta; siti web e prodotti dovrebbero anche essere divertenti. Ciò vuol dire esteticamente piacevoli ed eccitanti, a seconda dell'immagine che si vuole trasmettere (13).

D'altra parte, in molte situazioni ciò che nel graphic design tradizionale è informazione addizionale e allo stesso tempo valore estetico, nel design d'interazione può essere soltanto interferenza e confusione visiva. Se il rumore non è intenzionale va eliminato; per questo restano attuali alcuni argomenti di usabilità, come le seguenti qualità di una buona navigazione formulate dalla Fleming (14):

  •  facilità di apprendimento del sistema di navigazione nel suo complesso (quindi un sistema adeguato alla filosofia user-friendly della GUI);
  •  coerenza, cioè permanenza di dimensioni, numero o posizione degli ausili di navigazione di schermata in schermata;
  •  feedback tramite controlli reattivi come pulsanti e rollover, purché semplici e mirati;
  •  contestualità (la navigazione deve essere sempre in evidenza, ma anche esserci solo dove serve, e lasciare sempre traccia dei percorsi a disposizione);
  •  offerta di alternative a seconda delle possibili differenze culturali e strumentali degli utenti (in altre parole, è necessario offrire pagine alternative e semplificate, mappe o opzioni speciali di ricerca, evitare di vincolare elementi fondamentali di navigazione a plug-in come Shockwave o Flash, usare i tag ALT in HTML per supplire col testo la mancata visualizzazione delle immagini…);
  •  economia di azioni e di tempo, ovvero non complicare la funzione primaria della navigazione, che è quella di muoversi nel sito, con oggetti animati fini a se stessi o con lunghi, sconfortanti e perfino indiscreti form, i moduli per l'inserimento dei dati;
  •  chiarezza dei messaggi visivi, in particolare evitando ambiguità con gli elementi grafici, dal momento che manca tuttora un vero e proprio vocabolario di convenzioni iconiche; analogamente, chiarezza dei nomi e quindi scelta di termini non tecnici e icone munite di testo descrittivo;
  •  conformità allo scopo del sito e fedeltà agli obbiettivi e alle abitudini degli utenti.

Questi principi vanno in realtà interpretati come avvisi di massima, e non applicati al completo bensì ripensati caso per caso in base al contesto: si può affermare infatti che di tutti i principi sopra elencati risulta prioritaria la contestualità. Non si può negare che gli utenti siano diversi, ognuno con obbiettivi specifici: non abbiamo più a che fare con la società di massa, ma con la società delle persone, la società della connessione.
È necessario capire il più possibile - aggiunge Jessica Fleming - come è fatto e qual è il comportamento dell’utente, e a questo scopo dobbiamo creare profili e pensare scenari, dove un profilo è un ritratto sommario della persona che, studiando, possiamo ritenere il potenziale utente del nostro sito: approfondire la creazione del profilo può aiutare ad anticipare eventuali problemi, e addirittura aiutare nell’individuazione di tecnologie e soluzioni innovative. Niente di diverso dalla teoria pubblicitaria, ma proiettata su scala global-to-local. Pensare uno scenario, invece, vuol dire avere coscienza della navigazione nella sua interezza, immaginarne i modi in base ovviamente ai profili ipotizzati: esaminando uno scenario possono sicuramente emergere idee supplementari sulla funzionalità e sui percorsi che il sito dovrà avere.
E' sostanzialmente questo appena descritto - e drasticamente ridotto - il modo in cui nascono le linee guida, i principi euristici e i decaloghi di usabilità.

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Accettiamo l'idea che l'interfaccia sia, al suo fondamento, veicolo di immagine, mosaico di stimoli (Anceschi).
In passato le tecnologie informatiche dell'immagine avevano ancora costi elevati e pochi operatori specializzati. La computer graphics era in fase di elaborazione del proprio statuto, i suoi campi d'azione quelli della videografica televisiva e dell'illustrazione didattico-scientifica, e di prime incursioni in progetti come ad esempio quelli degli schermi degli sportelli e dei punti informativi in aeroporti, stazioni, banche. Dopo un decennio di tentativi e di conquiste le sue forme originarie possono apparire talvolta "rigide", ma le sue teorie sono state completamente assimilate e normalizzate nella produzione odierna, come sarà sommariamente evidenziato più avanti.
Oggi, da un lato la diminuzione dei prezzi (che non tampona l'inevitabile diffusione "in nero", sine licenza d'uso) e l'aumento dei titoli delle applicazioni di elaborazione delle immagini, da un altro lo sfruttamento delle risorse creative in tantissimi settori della comunità, sono i log-in per una maturazione di pensieri e stili di vita completamente dedicati al dato visivo. Lo schermo del computer è il regno dei più rivoluzionari cambiamenti del secolo scorso, in cui ha avuto luogo l'affrancamento dell'arte da se stessa iniziato ai tempi della videoarte pionieristica, e a ben vedere molto prima, fino al grande seme delle avanguardie storiche, fino all'intuizione seuratiana del "mosaico elettronico". Anche il graphic design ha le sue origini nel primo quarto del Novecento, quando artisti, architetti, poeti e tipografi si impegnarono nello sviluppo di nuovi modi di comunicare con le parole e le immagini nella società di massa. Movimenti avant-garde come Futurismo, Dada, Costruttivismo, andavano creando nuovi linguaggi visivi e forgiando i nuovi ruoli dell'artista e del suo agire sempre più ispirato dalle forme e dalle tecniche dei mass-media, così come dai cambiamenti sociali, dalla politica, dal commercio. L'Avanguardia può essere vista come il presentimento del nostro quotidiano.
Siamo perciò nelle condizioni di massima libertà della forma descrittiva. Il racconto, verbale, musicale o visivo, non si preoccupa più di spiegare la natura del mondo, ma parla di se stesso, con la voce nitida di chi ha deciso, di chi ha creato. Se si aggiunge il fatto che all'utente la distinzione tra mondo metaforico e mondo "reale" interessa molto poco, perché vive, osserva, pensa, naviga, lavora in un unico mondo, a maggior ragione pare più appropriato affermare che gli elementi figurativi sul monitor di un computer non raffigurano nulla, ma piuttosto propongono uno spazio d'azione (esperienza nello spazio) o anche solo uno spazio (esperienza dello spazio), e la metafora resta un potente strumento a completa disposizione del creativo che col linguaggio selezionato può elaborare "concetti nuovi", assenti normalmente dal suo repertorio, e sperimentabili in un contesto che è conoscenza pura, creazione poetica e autonoma.
Il movente dell'operazione di scelta e di acquisizione è sempre la dimensione culturale in cui prende corpo il progetto, a cui partecipano una o più persone.
Nella realizzazione di un'idea ci possono essere alcuni tipi di limitazioni determinanti, come ovviamente quelle fisiche dello schermo o del sistema di destinazione, e varie decisioni stilistiche, ad esempio si può adottare certe figure visivo/verbali piuttosto che altre (15), o essere più propensi nel rerdere il soggetto in modo realistico piuttosto che astratto. La scala di schematizzazione grafica di Anceschi, o scala di iconicità, sorta a sua volta sulla linea dei gradi di iconicità elaborati da Abraham A. Moles alla Scuola di Ulm in Germania, deriva dall'osservazione, nella raffigurazione, di una ascesa dalla verosimiglianza all'astrazione, e segna sette "piani":

  •  fotografia ritoccata. È la modalità mimetica completa, il massimo della verosimiglianza che può arrivare all'illusorietà, alla "realtà aumentata";
  •  semplificazione. È la descrizione e l'evidenziazione della morfologia essenziale dell'oggetto raffigurato;
  •  disegno costruttivo. È un livello originariamente tecnico che sottolinea la costruzione geometrica dell'oggetto, o l'esemplarità anatomica;
  •  schema costruttivo normalizzato. È un disegno schematico fatto di simbologie convenzionali in cui le distanze, la dimensione dei componenti e la loro posizione nello spazio sono relativamente prive di importanza, perché viene fatta luce sulle relazioni tra gli elementi;
  •  diagramma di flusso, o organigramma. Rispetto al livello precedente, resta la messa a nudo dei meccanismi e delle posizioni, in un complesso di insieme che mostra le eventuali connessioni fra gli elementi;
  •  schema di campo. Questa categoria comprende le rappresentazioni di campi o entità nelle quali non occorre una morfologia precisa. La forma non è dunque rilevante ai fini comunicativi, il rapporto col contenuto è al minimo;
  •  astrazione perfetta. Assenza totale di componenti iconiche. L'oggetto viene raffigurato tramite segni, sistemi di segni e regole di combinazione altamente convenzionalizzate.

Occorre precisare tempestivamente che questo elenco è un atto di schematizzazione su rilevazioni empiriche sul quale in verità si è successivamente posato il filtraggio di molti altri studi (16). Il motivo per cui ho voluto riproporlo è che esso estrae e segnala correttamente le tipologie di rappresentazione del web design, e l'apparente concettualità tecnica delle descrizioni al suo interno ha un primo, essenziale stemperamento nel fatto che i piani di raffigurazione si prestano al massimo dell'intercompenetrazione, confermando pertanto la propria attualità nella generale disciplina grafica caratterizzata dalla massima apertura alla commistione dei generi visivi. Il web design nasce e vive nella decisione di aver negato dapprincipio un modello dominante di espressione. Si crea davvero una comunicazione visiva, geroglifica (17), non-verbale, disponibile all'estensione.
L'origine delle immagini utilizzate è spesso materiale, fisica, cartacea, fotografica o pittorica, portata al computer tramite scanner o fotocamere digitali. Queste immagini vengono immesse nel luogo della manipolazione digitale, dove cominciano a percorrere una strada che le allontanerà anche radicalmente dal loro corrispettivo originario. Una volta sullo schermo comincia a prevalere, nella finalità della rappresentazione, la dematerializzazione dell'oggetto a causa dei processi manipolatori per i quali non si possono prevedere limiti teorici: strutture lineari, texture, un'infinità di controlli, sovrapposizioni e trasparenze, sintesi geometriche; ma anche compilazioni in codice per l'animazione di elementi, con l'opportunità di simulare l'inerzia e la gravità, il mutamento di stato, la deformazione. L'intero scenario è però illuminato da una generale progettualità che è estetica essa stessa, come messa a punto delle procedure di presentazione, di interattività, di navigazione. L'organizzazione dei materiali è di per sé un compito della sensibilità creativa, l'ambiente diventa l'argomento centrale di elaborazione, e sarà trasformato in un oggetto per proiettare il significato dell'oggetto di partenza.
Il fruitore si trova contemporaneamente in stato di partecipazione e valutazione: elementi interattivi, navigazione e feedback per la prima condizione, apprezzamento o meno delle qualità generali dell'architettura del sito, delle soluzioni di design e di eventuali animazioni, del concept e del materiale originale proposto per la seconda. Una sintesi assoluta di arte, informazione, comunicazione, intrattenimento, una sorgente disponibile che chiede alla fonte di interpretare il valore proposto e di farsi sentire.
Ma ciò che più conta è che un singolo feeling di espressione, e nel nostro caso un singolo web designer, non considera mai se stesso alla pari di un'epifania, ma uno dei ventimila occhi di un sistema esteso che solo nella sua visione di insieme non solo dice, ma è il momento espressivo, mentre al suo interno lui e il suo immaginario assistono e contemporaneamente provocano le forme all'infinito. Ogni particolare del mondo contemporaneo viene ricaricato di vita e di significato. Il web design con i suoi miti e i suoi simboli si sovrappone alla banalità con un senso piacevole ludico o persino rituale, per esempio fotografare la propria sala da pranzo come se fosse un pianeta inesplorato!
L'estetica si presenta, sotto questa angolazione, come la scrittura e la lettura di elementi poetici e talvolta enigmatici e paradossali, per cui il fascino risiede apparentemente nella promessa di soddisfazione di bisogni razionali (ultimo fine dell'usability), ma smuove in realtà la trasmissione di una sensualità arcaica.
Miti, invenzioni, racconti vengono trasmessi al nostro comportamento e alle nostre ideologie in modi anche sorprendenti dal design, ma anche dai fumetti, dai videogames, dai videoclip e da quant'altro è influente per queste vie, sia verbalmente che iconicamente, per la scoperta di scritture sempre nuove. Nell'analisi dello sviluppo di tali linguaggi e nella considerazioni della loro origine, più che sulle ricerche del marketing, si potrebbe rifondare criticamente il nostro rapporto ormai problematico con la produzione, con il consumismo, con l'ecologia, con la comunicazione in genere.  

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La nascita di ogni mezzo di comunicazione, dalla stampa alla televisione, ha richiesto una rinegoziazione dei codici da adottare. Oggi suona ripetitivo affermare che le pietre angolari su cui si fonda la comunicazione in rete sono la personalizzazione e la bidirezionalità dell'informazione, cioè del sapere. Gli esiti più recenti di questo processo evolutivo suggeriscono l'ulteriore passaggio che vede emergere dentro e accanto al già citato percorso della Human Computer Interaction il modello della CMC, Computer Mediated Communication, che presenta caratteristiche più tipiche della comunicazione "reticolare" e riflette su attività quali le chat e le web communities (18). Come al solito, anche in questo caso non conviene ipotizzare un percorso monodirezionale di sostituzione, come dire un futuro completamente centrato sulla CMC; sembra più significativo, invece, rilevare l'esistenza di un progressivo processo di ibridazione destinato ancora una volta a rimettere in gioco le caratteristiche di entrambi i modelli. Stabilito che il modello HCI affronta dalla sua nascita e in primo luogo il problema dell'usabilità dei computer, il modello CMC si sviluppa a partire dall'analisi di un fenomeno specifico del web, l'uso della rete come strumento di comunicazione interpersonale. Presupposto di tale fenomeno è che l'interazione coinvolga molti soggetti dislocati; l'esigenza dell'interfaccia è allora quella di definire appropriatamente il contesto della situazione comunicativa condivisa tramite una scelta efficace di metafore, verbali o visive. L'attivazione di relazioni e scambi ipertestuali, la socialità mediata, il sapere condiviso sono gli scopi di questo modello.

Ciò che davvero va difeso è, per così dire, il disegno: l'essere "carnale" del sapere, il sogno di profondità culturale e le possibilità/volontà di una rappresentazione visiva matura eppure geneticamente poliedrica; e non l'essere freddo, astratto, unicamente informatico, il data anti-creativo di un basico dialogo fra due schermi.
La natura hic et nunc del medium dimostra insomma di avere ancora una grande capacità di germoglio spontaneo con cui ci si può ritrovare in un confronto anche non facile. Dal momento che gli esperti di usabilità hanno parte determinante in più di una fase della progettazione di un ambiente in Internet, dalla definizione degli obiettivi alla costruzione dei contenuti, per andare in definitiva a incidere sull'interfaccia finale, il rapporto tra questi tecnici e i comunicatori visivi deve assolutamente risolversi, e spero che nel corso di questa piccola ricerca sia emerso qualcosa su ciò che va preservato dei due approcci di lavoro. Ciò che separa le due logiche non è né la partenza né il punto di arrivo, ma piuttosto il percorso e la valutazione degli orizzonti. Quella dei teorici di usabilità è mossa verso una standardizzazione regolamentata in virtù della funzionalità: la qualità di un progetto di interfaccia, quindi, si rivelerebbe nella rapidità e nella correttezza dei compiti da eseguire per l'utente. Quella dei web designer si fonda sul valore dell'innovazione come segno di un'ideazione efficiente, e quindi sia strumento che suggerimento, sia tracciamento che interpretazione, suggerirei, grafologica.
Effettivamente l'abilità nello scrivere codice o nel creare prorompenti esperienze visive è molto diversa da quella necessaria per creare una navigazione efficace; eppure si deve tenere conto di molti fattori di diversificazione, dall'eterogeneità degli utenti alla velocità dei cambiamenti legata allo sviluppo del web, sviluppo costante che spesso elude le aspettative e i pronostici compiendo deviazioni mai organicamente calcolabili sulle convergenze e le divergenze della comunicazione odierna. In un ambiente così problematico dove non possono essere sottovalutate neanche le differenze delle larghezze di banda, dei processori, delle piattaforme, degli schermi, delle tastiere, tutto sembra manifestare la transitoria condizione di sovrapposizione di paradigmi (19), in cui si abbandona la primissima fase a contenuto tutto sommato testuale e statico e ci si immerge in un nuovo panorama di problemi di gestione dei complessi grafici e multimediali, di evoluzioni nel markup language (da HTML a XML, il "web semantico" secondo la definizione di Tim Berners-Lee) e molto altro ancora.
Il fine del design, come quello dell'usabilità (a cui si deve il merito di aver formulato o messo in evidenza lo stabilirsi di nuovi efficaci fattori, nuove convenzioni), non ignora affatto l'importanza di rendere tale ambiente più facile affinchè la gente ottenga ciò che cerca, nel caso in cui cerchi e voglia ottenere, e di essere un supporto per facilitare le loro vite. Ma per quanto riguarda l'invenzione di esperienze e la produzione di senso, ci sono differenti gradazioni di amore.

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Bibliografia:

 

  •  Anceschi, G., L'oggetto della raffigurazione, ETAS, Milano 1992.
  •  Anceschi, G. (a c. di), Il progetto delle interfacce, Domus Academy, Milano 1992.
  •  Barilli, R., Informale Oggetto Comportamento, Feltrinelli, Milano, 1979 (2 voll.).
  •  Bettetini, G., La simulazione visiva. Inganno, finzione, poesia, computer graphics, Bompiani, Milano 1991.
  •  Bettetini, G., Garassini, S., Gasparini, B., Vittadini, N., I nuovi strumenti del comunicare, RCS, Milano 2001.
  •  Bonsiepe, G., Dall'oggetto all'interfaccia, Feltrinelli, Milano 1995.
  •  Capucci, P. L., Realtà del virtuale, Clueb, Bologna 1993.
  •  De Angelis, V., Arte e linguaggio nell'era elettronica, Mondadori, Milano 2000.
  •  Fleming, J., Web navigation. Il design delle interfacce web, Hops Libri, Milano 2000.
  •  Flichy, P., Storia della comunicazione moderna. Sfera pubblica e dimensione privata., ed. it. Baskerville, Bologna 1994.
  •  Lynch P. J., Horton S., Web. Guida di stile, Apogeo, Milano 2001.
  •  Pitteri, D., Fabbriche del desiderio, Sossella, Roma 2000.
  •  Virilio, P., Lo schermo e l'oblio. Anabasi, Milano, 1994.
  •  Wolton, D., Internet …e poi? Teoria e critica dei nuovi media, Dedalo, Bari 2001.

 
Webgrafia (alcuni siti di discussione e di proposte visive):